FREESPACE IS (NOT) POLITICAL
Se penso ad uno spazio libero, subito penso ad uno spazio senza costrizioni, uno spazio in cui è possibile muoversi autonomamente. L’installazione del padiglione dell’Uruguay tratta proprio di questa libertà, mostrandoci il progetto di una prigione. Inizialmente può sembrare strano parlare di libertà in un contesto simile, eppure credetemi, non mi sto sbagliando. Il progetto dal titolo “Prison to Prison” curato da Sergio Aldama, Federico Colom, Diego Morera, Jilema RÍos e Mauricio Wood mette in relazione due carceri costruite una accanto all’altra. Teoricamente dovrebbero essere uguali, invece le due architetture sono opposte nelle loro peculiarità: dalle sanzioni per comportamenti non conformi alla sorveglianza, dallo spazio alla gestione. Due edifici molto vicini tra loro, ma completamente distanti nella concezione dello spazio. Lo spazio all’interno del padiglione sembra dilatarsi e ristringersi attraverso un gioco di luci, rendendo partecipe lo spettatore, che vive o meglio sperimenta, la sensazione di costrizione e successivamente di libertà delle due prigioni. I bagliori creati dall’illuminazione mi catturano e isolano, permettendomi per un momento di vivere le due carceri, così differenti fra loro. Lo spazio buio e costretto, in cui provo un senso di claustrofobia, del carcere di recente costruzioni, e successivamente, la luce e la dilatazione dello spazio di un luogo che mi sembra non avere più confini come il “carcere-villaggio”. Tutto, all’interno di pochi metri quadri. Allora mi sorge spontanea una domanda: Perché se il “carcere-villaggio” si è dimostrato un modello di successo a livello di riabilitazione dei detenuti, nel 2017 è stato costruito un carcere con un modello di fruizione opposto?
La risposta riguarda l’ambito politico ed economico, le autorità politiche, infatti affermano che "condizioni di confinamento povero rendono impossibile la “riabilitazione”, e con 2000 e più posti disponibili, il sovraffollamento non sarà più un problema" FRESPACE IS POLITICAL, questa la scritta che è possibile leggere nel padiglione mentre ci si dirige verso l’uscita. Un’affermazione forte, che vuol far riflettere.
Perché lo spazio libero non può essere soggetto a manipolazioni politiche e permettere la costruzione di luoghi eticamente e funzionalmente errati. Bisognerebbe riconnettere lo spazio all’architettura e alla sua generosa e necessaria dimensione culturale per poter consentire la costruzione di architetture intelligenti, ma non per le loro tecnologie, ma bensì per la loro capacità di relazionarsi con l’uomo.
– ANDREA DI CINZIO –


Esterno padiglione Uruguay ©Andrea Di Cinzio for WMMQ
Ingresso all’interno dell’installazione "Prison to Prison" ©Andrea Di Cinzio for WMMQ

Installazione padiglione Uruguay ©Andrea Di Cinzio for WMMQ