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Gregotti CHIUDE

 

 

Qual è la strada da percorrere quando di fronte a noi troviamo un futuro incerto e imprevedibile e alle nostre spalle una strada battuta da troppo tempo, quando cioè, dobbiamo necessariamente  esporci al presente?

“L'Architettura non interessa più a nessuno” così s'intitola l'intervista di Francesco Erbani a Vittorio Gregotti, rilasciata lo scorso 12 Luglio per  'La Repubblica' dove l'architetto affermava di voler chiudere, dopo 43 anni, il suo studio.

Questo fatto, a mio avviso, può portarci a una riflessione: considerare la chiusura di un grande studio come metafora della nostra contemporaneità che, probabilmente, oscilla più che mai tra passato e futuro.

Qui diventa forse necessario ragionare sul tempo, su come esso viene vissuto nell'architettura e nella nostra quotidianità, di come sia per le persone un rifugio, preferendo in qualche modo una realtà passata o futura lontana dalla condizione attuale.

Rifugiarsi nel passato puo’ significare distorcerlo, modificarlo, renderlo anacronistico; questo porta ad avere una considerazione critica del presente senza però avere la possibiltà di agire su di esso.

Rifugiarsi nel futuro invece, può essere illusorio, pieno di speranze e immagini lontane che disattendono la realtà.

Il presente è necessariamente saturo, caotico e spesso contradittorio ma è l'unica dimensione in cui ci è possibile operare; territorio pieno di dubbi necessari ad una valida maturazione.

La chiusura dello studio di Gregotti potremmo interpretarla come un passaggio di staffetta a chi ad oggi sarà capace di leggere il tempo senza subirlo, perchè come ci ricorda l'architetto in chiusura dell'articolo: “I materiali dell'architettura non sono solo il cemento o il vetro, sono anche i bisogni, le speranze e la conoscenza storica”.

Alberto De Virgiliis

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