top of page

Il disegno della Bellezza

 

by CATERINA PALESTINI

 

Il concetto di bellezza in architettura assume molti significati in rapporto alle tematiche cui si relaziona, dall’antichità ci si interroga nel tentativo di individuare la formula per soddisfare i requisiti estetici e funzionali dell’armonia delle forme.

I tre parametri esposti da Vitruvio firmitas_ utilitas_ venustas rimangono i concetti cardine intorno a cui ruota l’enigma della bellezza architettonica, da connettere al momento storico culturale cui si rapportano.

La complessa prerogativa di appagare i sensi attraverso configurazioni estetiche che superano l’aleatorietà insita nel giudizio soggettivo, genera una serie di legami che associano l’idea di bello a quella di benessere, di funzionalità, di ordine, di armonia, di proporzione.

La ricerca di un’estetica ideale ha pertanto indirizzato verso formule razionali capaci di esprimere scientificamente la bellezza. In tal senso il concetto matematico di proporzione ha influenzato gli architetti del passato, nella ricerca dei rapporti geometrici più consoni molti di essi hanno assegnato un ruolo fondamentale alla sezione aurea. Il rapporto numerico esprimeva anche un significato mistico e filosofico, era misura e religione, come specifica Luca Pacioli che nel 1509 gli dedica un intero trattato il De Divina Proportione, in cui ne descrive regole ed effetti.

Come è noto nel Rinascimento vengono teorizzate le regole desunte dall’antichità nel loro rapporto con il corpo umano da cui si generano simmetrie, proporzioni, comparazioni e varie simbiosi estetiche con l’architettura. Le corrispondenze aritmetiche, geometriche e armoniche basano anche le teorie adottate da Andrea Palladio per stabilire le dimensioni che determinano la forma degli ambienti. Similmente Leon Batista Alberti esamina le corrispondenze tra gli intervalli musicali e le proporzioni architettoniche.

La ricerca dell’armonia universale viene filtrata attraverso il pensiero neoplatonico e le dottrine cristiane che regolano pure la forma delle città, impostate su moduli e geometrie da cui si ricavano i tracciati e da cui scaturisce il disegno dell’architettura perfetta. Ne deriva un lessico architettonico imperniato sull’ordine, su un sistema euritmico che compone le varie parti dell’opera.

Procedendo nel XX secolo i movimenti di avanguardia riprendono gli studi sulle proporzioni e sulla idealizzazione della geometria, Jacques Villon nel 1911 fonda il movimento Section d’or, sulla stessa scia si pone l’opera di Gino Severini che, cercando di ritrovare il significato che i greci avevano dato al numero e alla geometria, elabora una vera e propria estetica del numero e del compasso.

La bellezza intrinseca nei rapporti numerici fu ricercata anche dagli artisti appartenenti al DeStijl, come Oscar Schlemmer che nell’ambito del Bauhaus analizza la scomposizione del corpo umano in base al rapporto aureo, proporzione ulteriormente sviluppata da Le Corbusier per il Modulor, consistente in due serie di Fibonacci interrelate tra loro.

A partire dagli anni ‘30 Luigi Moretti con l’intento di formulare un nuovo linguaggio architettonico, veramente moderno capace di oltrepassare gli schematismi e lo stato di accademia in cui seguitava a permanere, introduce il concetto di architettura parametrica. Prova quindi a superare i limiti del “razionalismo” che a suo parere aveva dato risposte sommarie, affrontando le questioni del rinnovamento architettonico su un piano puramente formale, ripropone perciò il concetto scientifico di bellezza basato su criteri matematici, derivante in questo caso dalle interrelazioni tra forma e funzione.

Il geniale architetto affiancato dal matematico Bruno De Finetti e da esperti di diversi settori, ingegneri, biologi, psicologi, economisti capaci di affrontare le problematiche legate alle complessità della città moderna, tenta di definire un metodo di progettazione basato su regole obiettive, capaci di tradurre necessità e funzioni in forma.

L’articolazione degli spazi, in questo modo, non sarebbe derivata dal gusto, dalla “vanità personale”, dalle scelte individuali del progettista, ma dallo sviluppo imparziale delle complesse funzioni che definiscono una struttura architettonica calcolata attraverso elaboratori che ottenevano variazioni delle forme al mutare dei parametri.

Le sorprendenti anticipazioni di Moretti, non portate a compimento per la mancanza di processori capaci di gestire l’enorme mole di dati, configuravano un ideale di bellezza orientato verso la contemporaneità che invitano a riflettere sull’appropriatezza e sui significati attuali del termine, sul superamento esclusivo della dimensione estetica.

Provando a concludere il difficile argomento con alcuni punti fermi e ancora tanti interrogativi, il concetto di bellezza in architettura non può essere disgiunto dalle connessioni già descritte che da sempre le appartengono, in più si aggiungono i problemi della società odierna: le risposte alla domanda sociale relative alla qualità urbana, alle aree periferiche, agli spazi dismessi, al rischio ambientale, alla mobilità, a una produzione edilizia ecologicamente sostenibile, in sintesi alle qualità etiche ed estetiche che riguardano gli spazi e le configurazioni della vita quotidiana.

bottom of page