Inno all'interdisciplinarietà
‘Non c’è nessuna differenza tra arte e architettura, e io non mi limiterei a parlare solo di queste due discipline, ci metterei pure la musica e tutte le altre’ - dice Mimmo Paladino, guardando fuori dalla finestra del suo studio in Piazza Navona, a Roma. La casa dove vive e lavora è un’opera d’arte totale, un museo del design che si affaccia su uno dei luoghi iconici della capitale italiana. Le note delle nozze di Figaro, capolavoro di Mozart, riempiono le stanze, sulla libreria CD e Vinili di Jannacci, Gaber, Battisti. ‘Se ti affacci qui di fronte’ - aggiunge - ‘vedi Borromini, che non disdegnava di ospitare un pittore nel suo spazio, a quei tempi era più che normale la simbiosi tra architetto e artista’. Seduto alla scrivania a parlare del rapporto tra arte e architettura, rappresenta già una risposta all’argomento di conversazione.
Eppure oggi si pensa sia andata perduta la compenetrazione tra le due, lasciando spazio a rivendicazioni di autonomia e posizione difensive. In un tempo in cui l’architettura dimentica l’esistenza di un terreno comune con le altre arti, è necessario tessere le lodi dell’interdisciplinarità, per imparare a fare questo mestiere. Il filo rosso tra le discipline va cercato non nell’azione in se, quanto nel legame con la sfera sensoriale che accomuna ogni pratica: progettare significa realizzare un’opera che produca un piacere ‘sovrastrutturale'. Per l’architetto la vera prova da superare è l’iter progettuale quanto l’incontro fatale con il pubblico, e così anche per l’artista e per il musicista. L’espressione e la genesi intuitiva del processo di creazione saldano i contenuti di tutte le arti. Essere, o diventare, bravi progettisti significa avere l’occhio allenato per guardare e l’orecchio per ascoltare. Non c’è alcuna distinzione tra vedere un film, un quadro, leggere un libro o una poesia, sono fonti di piacere che si trasformano in strumenti per fare bene il nostro mestiere. ‘Ma come si fa a dire che ti interessi di architettura ma non sai cosa sta succedendo negli altri campi? E’ un tutt’uno. Sempre qui - in piazza Navona - se non ci fosse stato anche Bach non capiremmo le forme del Barocco, anche se musicista e architetto non si sono mai incontrati. Oggi non si capisce che nulla è disgiunto dal fare artistico, c’è troppo un’informazione planetaria che poi diventa superficiale. Ognuno torna nel suo territorio, io però per indole sono portato ad esplorare più territori.’
Ogni disciplina dà il suo contributo per costruire l’apparato teorico grazie al quale possiamo pensare gli spazi dell’abitare. Non si deve cercare una via di fuga da questa rivendicazione di autonomia, la soluzione è riflettere sull’opera dell’architetto, legata indissolubilmente alla stratificazione culturale di ogni individuo, guidata dalla curiosità e dalla voglia di esplorare nuovi linguaggi. Progettare è allora un’operazione sensista, un fatto squisitamente culturale.
Bianca Felicori