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No Man's Land

I primi raggi del sole fanno capolino. “Dove vai a quest’ora!” esclama mia madre. Si, forse ho esagerato, ma sono del parere che la luce mattutina conferisca alla materia sfumature che in altre ore del giorno andrebbero scemando. Macchina fotografica e computer in posizione precaria sul sedile del passeggero, giro il quadro e parto... direzione: “No man’s land”, la terra di nessuno. Ormai nel mio piccolo paese, Loreto Aprutino, tutti sanno della sua esistenza ma pochi ne comprendono a pieno il significato. Si vocifera che il noto architetto Yona Friedman insieme all'artista francese Jean-Baptiste Decavèle, abbiano individuato all'interno del paesaggio abruzzese l'essenza della loro opera, progettata per la fondazione ARIA.

Musica di sottofondo, mille pensieri per la testa e una strada asfaltata semideserta che pian piano lascia spazio alla terra battuta. Guardo lo specchietto retrovisore, nuvole di polvere danno vita a mille danze e nel frattempo mi perdo nell’immaginazione.

“Ma dove sono?!” non c’è un’indicazione e, proprio quando serve, la tecnologia mi abbandona. Non c’è campo. Nel compenso ci sono splendidi campi di grano e di ulivi, che accennano uno svogliato risveglio bagnati dai timidi raggi del sole.

Proprio mentre sto per fare dietro front, convinto di aver completamente sbagliato direzione, vengo raggiunto da un simpatico vecchietto. Colgo la palla al balzo e, sfoggiando un dialetto stentato, chiedo informazioni sulla introvabile “terra di nessuno”. Finalmente ottengo delle indicazioni precise! Non sono obbligato a tornare indietro e proseguendo la stradina, evitando per quanto possibile buche e massi, raggiungo il sito. Mi rendo subito conto di aver a che fare con un diamante nel diamante! Un “arazzo” di pietre di fiume spicca tra l’erba incolta, pronta a coprire l’impronta dell’uomo. Prestando attenzione si notano un unicorno, una palma e una donna, figure distorte dalla visione prospettica ad altezza dell’osservatore. Un’opera d’arte con la quale è possibile interagire, attraversandola e cambiando punto di vista. Giungo al limite dell’area, sul quale si apre una stradina scoscesa in terra battuta. Aguzzando lo sguardo noto dei simboli intagliati su alberi di noci. Un linguaggio astratto, che lascia ampio spazio all’interpretazione. Tutto ciò che mi circonda viene tagliato da lame di luce, penetrate, con difficoltà, attraverso le intrigate chiome degli alberi. Intricate come lo “Shangai” in canne di bambù, che spicca tra le piante e si incastona perfettamente con esse. La struttura sembra non esser soggetta alle leggi della forza di gravità, ogni elemento garantisce l’equilibrio dell’altro dando vita ad un “museo senza pareti”, come lo definisce lo stesso Decavèle. In definitiva giungo alla conclusione che una risposta precisa sul significato dell’opera non c’è, essa sta negli occhi di chi la guarda.

L’unica sicurezza che ho di fronte è la “terra di nessuno”, padrona e serva di se stessa.

 

Davide D'Addazio

 

 

Arazzo in No Man's Land ©Davide D'Addazio

Albero di noce in No Man's Land ©Davide D'Addazio

La foresta di No Man's Land ©Davide D'Addazio

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La Foresta di No Man's Land  ©Davide D'Addazio

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