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Paolo DESIDERI

Qual è il primo ricordo che le viene in mente legato alla Facoltà di Architettura di Pescara?

 

Il primo ricordo( indelebile) che ho di Pescara e della Facoltà di Architettura è quello che fedelmente ho raccontato nel primo capitolo de “La città di Latta”: Pidi arrivò la prima volta a Pescara nel novembre del 1984. Erano le sette di sera, era buio, e la temperatura era quella del mese dei morti.

Per arrivare in quell'estremo orientale della longitudine italiana aveva preso il treno a Roma Termini quattro ore prima . Il viaggio aveva progressivamente dissolto ogni atmosfera metropolitana : la montagna, eppoi quella toponomastica così remota (Celano, Scurcola Marsicana, Magliano dei Marsi, Sulmona e la Maiella) , eppoi gli odori asciutti e i rumori sfumati e i colori ovattati di quell'appennino nevoso ma non alpino, meta di fughe frequenti dall'ambiente urbano romano negli anni appena trascorsi . Adesso come allora si sentiva come stordito e sospeso per quella sensazione di trovarsi nella faccia opposta della città, agli antipodi della metropoli, nella capovolta estraneità delle coordinate del nulla….

La prima edizione della città di latta è del 1995.

Cominciai a scriverla nel 1993, al rientro da una semestrale esperienza di Visiting Professor in Canada. Avevo trascorso già otto anni dentro la Facoltà di Architettura di Pescara. Il libro pubblicava le riflessioni ed il lavoro teorico e didattico svolto in quegli anni. Anni duri e straordinari.

Straordinari perché a Pescara si respirava l’atmosfera didattica di un campus nordamericano. Studenti e docenti per la maggior parte fuori sede, che stavano lì per la scuola che frequentavano. La scuola era il centro della nostra vita, a Pescara. Avevo corsi di una densità asiatica : nel 1987 erano iscritti con me, per la Progettazione III, 412 studenti. Ero solo, senza assistenti. Ricordo orari delle revisioni eroici ed oggi improponibili. Alle due di notte alcune ragazze, le poche residenti a Pescara, venivano immancabilmente accompagnate da padri increduli.

Ma in quegli anni a Pescara si respirava, grazie agli Incontri Internazionali, aria diversa. Vennero in tanti invitati da me, con fondi raccattati dalla creatività di Enzo Calabrese all’epoca ancora studente, a fare lezione a Pescara. Enric Miralles e Peter Eisenman, Gustav Peichl, e Zaha Hadid, Coop Himmelblau e Jurgen Sawade, e Boris Podrecca, e Oriol Bohigas, e Rem Koohlaas e Rob Krier e Paul Chemetov e tanti altri che richiamavano folle oceaniche di studenti increduli, e tanto sussiegoso birignao da parte dei sette nani che siedevano in Consiglio di Istituto. E qui comincia la durezza di quegli anni : l’eroica durezza di quegli anni. Non posso non ricordare quando mi fu chiesta una relazione scritta preventiva su quelle che io credevo essere le attese e le ricadute didattiche della lezione di Peter Eisenman. (!!!) Né posso scordare che qualcuno richiese ed ottenne un Consiglio di Istituto per discutere e stigmatizzare il ricorso ai finanziamenti privati per gli Incontri (la cocacola con una lezione universitaria…che c’entra, che c’entra..)

Ma duri anche al di fuori dei confini della Facoltà di Pescara, dove i temi affrontati dalla mia ricerca, e forse più ancora gli esiti concettuali del mio lavoro, erano sopportati con sufficienza da una cultura accademica che ancora, perlopiù, si confrontava con le elaborazioni teoriche del dibattito sulla città e sull’architettura degli anni settanta e ottanta.

Gregotti dirigeva Casabella come se la modernità ancora esistesse.

Aldo Rossi straordinariamente coerente con se stesso continuava autoreferenzialmente ad essere Aldo Rossi.

La scuola romana era ancora saldamente governata da Carlo Chiarini che continuava tardivamente a scoprire e ad incupire l’architettura ed il pensiero di Giorgio Grassi.

Franco Purini reagiva con il terrorismo culturale che gli è proprio ad ogni convegno nel quale mi sentiva parlare di città diffusa, di Los Angeles di complessità.

Ero un Ricercatore Universitario. Che evidentemente faceva ricerca perché, allora, davvero nessuno si interessava ai temi della mia ricerca.

 

 

Uno dei fenomeni che ha interessato la Facoltà di Architettura di Pescara fin dalle sue origini è stato quello della TENDENZA. Che cos’è la TENDENZA? e cosa ha rappresentato per lei?

 

La Tendenza è stata una stagione della riflessione teorica nell’ambito della storia della nostra disciplina. Una stagione che preferirei vedere opportunamente storicizzata piuttosto che continuare a vedere tenuta in vita con inutili respirazioni bocca a bocca. ( una pratica nella quale la Facoltà di Architettura di Pescara si è sempre distinta, per la presenza in sede di un arzillo drappello di soldati che non si sono mai accorti che la guerra era finita) Una stagione importante più per le figure che allora ispirarono quelle riflessioni teoriche che, francamente, per il reale valore fondativo delle teorie sulla città e sull’architettura che allora furono sviluppate. Alla distanza di quasi mezzo secolo, nessuna di quelle posizioni concettuali mi sembra ancora oggi positivamente condivisibile. I cinquant’anni trascorsi nel mezzo ci hanno molto insegnato e disvelato, ci piaccia o meno, in materia di autonomia dell’architettura e di modelli fondativi della città contemporanea.

Le metropoli si sono evolute in direzioni allora davvero imprevedibili e i modelli urbani della modernità hanno definitivamente lasciato il posto a forme metropolitane enigmatiche, perlopiù inesplorabili con l’antica strumentazione tipo-morfologica che la Tendenza ci proponeva, allora, come fondamentale strumento conoscitivo.

Lo stesso sogno di una definibilità autonoma del corpus disciplinare dell’architettura appare oggi, francamente, improponibile ed all’opposto la stessa conoscenza in architettura e nella pratica della progettazione appare sempre di più inserita dentro una teoria della conoscenza legata ai modelli complessi. In nessun caso la forma può più permettersi oggi di rivendicare alcuna autoreferenziale autonomia e siamo chiamati, come progettisti, all’esercizio della creatività come fondamentale strumento per la soluzione dei problemi presenti sul campo del progetto.

Se poi ne vogliamo fare una questione stilistica, di linguaggi, di formalismo, di preferenza per le finestre quadrate su quelle tonde, delle murature rispetto alle pareti vetrate, beh, allora fatemi dire che questo sarebbe il peggior tradimento che quella fulgida stagione teorica potrebbe vedere perpetrato a suo danno: la riduzione dell’architettura a vuoto formalismo.

 

 

Cosa pensa di aver lasciato in questa facoltà?

 

Mi piace pensare di non aver “lasciato” Pescara. I miei legami culturali, personali, scientifici ed anche quelli emotivi restano vivi e forti tutt’oggi. Spero di aver lasciato una tensione ( e non una tendenza) alla curiosità che credo essere la dote più importante per chi vuole studiare l’architettura.

 

 

Nella sua carriera ha affrontato realtà accademiche diverse. Esistono dei caratteri distintivi riconoscibili nei diversi atenei? Se si quali sono?

 

Ogni Ateneo è una piccola-grande comunità e come tale è caratterizzato da una sua specificità. Come ho già detto, Pescara è stata la Scuola più simile ai Campus Universitari americani che io ho mai trovato in Italia. Studenti all’epoca ( ma credo tutt’oggi) prevalentemente non originari della città che erano lì per studiare, per condividere il tempo e la conoscenza: come a Berkeley o a Waterloo. Studenti che non guardano l’orologio perché la loro vita è nel Campus( se sai interessarli e stimolarli nella conoscenza)

 

 

Qualora dovesse tornare ad insegnare a Pescara, quali esperienze fatte cercherebbe di introdurre nella realtà del Dipartimento di Architettura?

 

Porterei il più possibile gli studenti in cantiere. Noi dobbiamo insegnare più e più la passione per quello che io chiamo il destino costruttivo dell’architettura. Dobbiamo ancora superare, in Italia, la deriva per l’architettura di carta, per tutte le forme non produttive di autoreferenzialità in architettura. Cantiere non vuol dire solo il luogo dove si costruiscono gli edifici. Cantiere è ogni trincea vera del procedimento attuativo del progetto. Cantiere è anche la Pubblica Amministrazione. Cantiere è anche l’office di architettura che è il luogo della produzione del progetto.

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