Lei è stato il direttore della prima biennale di architettura del 1980. Con la "Strada Novissima" ha aperto un dibattito di grande vitalità sul Postmoderno, diventandone un simbolo internazionale. Ha avuto modo di collaborare con Venturi e con altri grandi nomi del tempo. Qual è il primo ricordo che le viene in mente di quel periodo?
PP - Con Robert Venturi ho sempre avuto sempre una buona intesa. L’incipit del nostro rapporto, di grande complicità, è avvenuto durante un incontro in America per la Strada Novissima, la suggestiva via delle Corderie dell’Arsenale di Venezia, costruita in occasione della prima edizione della Biennale di Architettura da me diretta. Per questa mostra così importante nel dibattito internazionale sull’architettura, ho sentito l’esigenza di impiegare ogni sforzo per ottenere la partecipazione di Robert Venturi. Era mia intenzione far convergere a Venezia le personalità più forti e con le istanze più attuali di quegli anni. Inizialmente la sua partecipazione non era certa, bensì egli stesso riservava alcune perplessità, perplessità svanite grazie alle grandi affinità che ci uniscono. Quella Biennale rappresentò un’esperienza con l’architettura e non sull’architettura, e la Strada Novissima rispecchia l’idea della sua analisi sulle caratteristiche tipiche dell'americana, radicalmente commercializzata e identificata con la “Main Street”. Si può sostenere che la teoria di ridefinire i compiti dell'architettura - partendo da un'interpretazione sociologica della comunicazione visiva americana - viene proprio dall’esperienza veneziana.
Ci siamo incontrati più volte nel Maryland, mi ha regalato molti libri e mi ha regalato un forte senso di fraternità. Posso definirlo un fratello maggiore. Questo è il mio ricordo dell’epoca.
Cosa ne pensa di quando Venturi sarcasticamente dichiara che Il fronte postmodernista, "PoMo", è un coagulo di tendenze e atteggiamenti diversi, e che non può essere considerato un movimento come lo era stato il Movimento Moderno?
PP - Il Post moderno rappresenta un allontanamento dall’ortodossia, per poi prendere mille altre direzioni. Il centro era rappresentato proprio dall’ortodossia moderna e poi c’erano diverse tendenze. In principio sembrava prevalere quella che prediligeva l’interesse per la storia, interesse decaduto rapidamente e definito come una semplice moda. Robert Venturi aveva costruito le sue idee in maniera che non fossero solo una moda. Purtroppo anche i grandi devono accettare che la storia non sempre corona le loro speranze.
Quali sono i caratteri del movimento moderno che condanna definendoli come "lo star-system moderno" e che riconosce nei grandi maestri come Gropius, Le Corbusier, Mies e Wright?
PP - Indubbiamente il Movimento Moderno ha realizzato dei capolavori assoluti dell’architettura, ma non ha saputo creare la città. I pezzi di città creati sulle orme del Movimento Moderno sono delle astrazioni inabitabili. Come ad esempio il Plan Voisin di Le Corbusier.
Robert Venturi si è reso conto che quel tipo di architettura è stata concepita per avvicinare e per accontentare un gruppo limitato di persone, dimenticando completamente le persone che il vangelo definisce “poveri di spirito”.
Facendo riferimento al libro di Venturi "complessità e contraddizioni nell'architettura" Come considera l'architettura contemporanea, un'architettura unitaria, complessa o piena di compromessi? L'inflessione è ancora un metodo attuale di operare?
PP - L’architettura contemporanea è l'architettura di un periodo storico caratterizzato dall'efficenza e dalla ricchezza. Un periodo storico ormai finito, che si definisce “contemporaneo” ma che rappresenta in realtà un’architettura sorpassata. Credo che oggi non si possono più spendere centinaia di milioni per costruire edifici e opere pubbliche. Oggi possono essere concepiti bellissimi progetti, ma non è più questo il compito dell’architettura. C’è da riscoprire il senso di un’architettura che sia per tutti, in questo momento è importante rivedere la città in modo critico. Non si può più costruire ex novo… non è più questo l’atteggiamento che ci conviene portare avanti.
Abbiamo tanti spazi, possiamo ripensare la città e i suoi abitanti. Questo però non è compito nostro… ormai tocca a voi!.
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