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Oggi tra gli studenti si ritiene che il tema della assunzione di riferimenti consista nell’entrare nell’illimitata cava di prelievo di progetti che è la rete: il riferimento è evidentemente solo formale, legato a un soggettivistico “mi piace” come lo “I like” di Facebook, che prevede un’adesione emozionale più che razionale.

Va riconsiderata allora la questione della tipologia, in auge negli anni della Tendenza e poi completamente rimossa: anche qui il giudizio non può più essere “di schieramento”; d’altronde già Aldo Rossi negli anni successivi al suo insegnamento a Pescara ha precisato come un uso fondamentalista della tipologia nell’insegnamento abbia finito per costituire una costrizione eccessiva per gli studenti.

Gli studi di Carlos Martì Arìs propongono di recuperarne quel fil rouge con la storia, su cui anche molti progetti contemporanei si fondano, pur dichiarando di avversarla: si tratta di recuperare il concetto largo di “famiglie spirituali”, riconoscendo e motivando le appartenenze, ma anche le interpretazioni, le variazioni e le trasgressioni.

Si tratta quindi di lavorare più sull’analogia (di rossiana memoria) che sull’imitazione, arrivando a fare impreviste scoperte, passando di volta in volta da Palladio a Le Corbusier a Rem Koolhaas: è interessante verificare che un ingegnere particolarmente innovativo, come Cecil Balmond (che viene dallo studio “planetario” di Ove Arup), leghi le sue ricerche digitali e quindi numeriche, per l’ingegnerizzazione dei progetti più complessi delle cosiddette archi-star, alla sezione aurea di rinascimentale memoria.q

Ho citato più volte Aldo Rossi perché credo che la sua breve permanenza – ma fondativa – nei primi due anni della Facoltà di Architettura di Pescara possa essere interpretata non in maniera nostalgica ma in chiave propositiva, con uno sguardo inevitabilmente rivolto al presente e al futuro, ma ben fondato sul passato.

Se negli anni successivi, la rigida perimetrazione del campo conoscitivo operata dai professori della cosiddetta Tendenza (o Raggruppamento di Composizione di Pescara) ha comportato l’esclusione di opere di architetti come Louis Kahn o Oscar Niemeyer, l’approccio analogico rossiano propone tuttora aperture sconfinate, illimitate sia che si guardi indietro sia che ci si rivolga verso il progetto contemporaneo: ovviamente non parlo della riproposizione delle forme che Aldo Rossi mutua dalla storia, ma del procedimento che consiste nell’andare a cercare possibili riferimenti anche per i progetti che ci appaiono più fantasiosamente stravaganti.

E’ quindi alla intera storia dell’architettura che occorre guardare per attingere riferimenti in modo consapevole.

E così si arriva alle due domande proposte dalla redazione di WOO:

"Ci parla di un progetto architettonico/design/urbano che è stato importante nella sua formazione e che ritiene opportuno condividere con noi studenti?"

 

"Qual è secondo lei il disegno più rappresentativo di questo progetto?"

 

Probabilmente il progetto di Rossi per la piazza del municipio a Segrate, progetto che compie 50 anni, mi ha colpito da studente per la volontà di rimettere in campo materiali della storia come il muro, la colonna, il timpano non fondendoli in una composizione postmoderna ma ponendoli in un montaggio paratattico, uno di fronte all’altro, in piena contemporanea autonomia. Il disegno più rappresentativo è costituito da una prospettiva in bianco e nero con le ombre a inchiostro piuttosto marcate e la sfumatura del piano e del cielo ottenuta con l’aerografo, tecnica pre-digitale con cui ho disegnato la mia tesi di laurea ambientata nel centro di Penne. Gli alberi rappresentati nella prospettiva sono stati “prelevati” dai disegni di Schinkel (anche nella tesi…).

Nei miei progetti realizzati, alcuni dei quali hanno avuto una qualche fortuna critica, per esempio venendo pubblicati ne “L’architettura del Secondo Novecento”, edizioni Electa, a cura di Claudia Conforti, i miei riferimenti potrebbero avere attraversato questo progetto, andando alla ricerca delle fonti, nel mondo delle forme dell’Illuminismo e della costruzione dell’architettura romana, alla ricerca forse del complimento che Adolf Loos condensava nella frase “così avrebbero costruito i Romani”.

Nel progetto per l’Area Saracena di Tricarico (Mt), lo spazio del  piccolo teatro che mette in scena il paesaggio è determinato da due muri di pietra e da un filare di colonne anch’esse in massello di Bronzetto di Apricena; nel Parco di Serra Venerdì a Matera il muro del “porto dei camper” è un fondale in tufo a ricorsi orizzontali, tagliato secondo la tradizione, contrappuntato da lastre di pietra di Apricena; nel Giardino delle Attività Fisiche a Pomarico (Mt) il muro è questa volta di mattoni e disegna un porticato che rimanda alle sostruzioni collinari (il complesso delle basiliche francescane a Assisi), aprendosi allo sguardo dal paesaggio con una fontana dal chiaro riferimento rinascimentale (villa Aldobrandini a Frascati).

Il fascino di questo mestiere è da un lato volere esprimere con i propri progetti un numero limitato di riferimenti, che costituiscono una cassetta degli attrezzi prescelti e prediletti, dall’altro acquisire la consapevolezza dell’illimitatezza delle proposte architettoniche di somma qualità, che si raggiunge con lo strumento cardine che rimane quello del viaggio: le architetture vanno visitate, fin da studenti; per ora non c’è ancora web che riesca a dare la sensazione di entrare nelle rovine di Petra, in Giordania, o nel Kimbell Art Museum di Louis Kahn a Forth Work (Texas).

Carlo Pozzi

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