Renewal (o quasi)
A independent narratived
- Anna Di Matteo -
Come ogni edizione della Mostra Internazionale di Venezia ho potuto apprezzare la varietà di schemi, allestimenti, documenti, filmati e disegni che sono presenti lungo tutto il percorso. È come sempre formativo attraversare il lungo corridoio dell’Arsenale che con le sue mura tiene dentro mille storie nuove e avvincenti.
Ed è proprio lungo questo percorso che il padiglione della Cina, curato da Ruan Xing, attrae la mia curiosità. Il tema scelto è “Renewal: a symbiotic narrative”. È proprio la parola “rinnovamento” che innesca in me una riflessione doverosa e ampia sia sull’architettura magistralmente esposta nel padiglione che sullo spiacevole epilogo della giornata inaugurale. Infatti se di narrativa si tratta, parleremo ed esamineremo in questo mio scritto questi due momenti discordanti.
Nel giorno dell'inaugurazione del padiglione, aperto al pubblico dai rappresentanti del CAEG (China Arts and Entertainment Group Ltd), erano presenti numerosi ospiti. Il programma della giornata prevedeva anche una cena di gala, tra i numerosi invitati era prevista anche la presenza dell’ambasciatore cinese in Italia – Jia Guide –, che però vedrà la sua partecipazione annullata. Fonti di stampa locale (come ANSA riporta) hanno messo in relazione il forfait del diplomatico con la presenza alla Biennale Architettura di una installazione intitolata "Killing Architects - Investigating Xinjiang's Network of Detention Camps".
Quest’ultima, opera Olandese esposta in Arsenale, è basata sulla proiezione di immagini che documentano “la situazione nei campi di rieducazione del Xinjiang, regione cinese a maggioranza musulmana al centro dell'attenzione delle organizzazioni che si occupano di diritti umani”, così viene descritta dagli stessi autori. Ebbene proprio questa avrebbe irritato l’ambasciata cinese in Italia, tanto da chiedere la rimozione dell’opera alla Biennale stessa, bollata dai rappresentati cinesi come “falso reportage”.
Ma allora cosa connette questo evento con l’esposizione del padiglione?
L’obiettivo del padiglione cinese di quest’anno è stato quello di raccontare l’evoluzione, i cambiamenti e i miglioramenti che l’architettura cinese ha subito negli ultimi quaranta anni.
Questo racconto viene messo in campo attraverso la presenza di cinquanta enormi colonne dentro le quali sono raccontati ed esposti dei progetti. Passeggiando in questo spazio “i visitatori cercano risposte ai problemi del nostro tempo e immaginano il futuro”.
In ognuna di queste colonne è presente il racconto di un progetto realizzato negli ultimi quaranta anni in Cina. Una cosa che accomuna tutto l’allestimento, magistralmente realizzato, è la presenza di un modello plastico (per ogni progetto) monocolore rosso. I plastici tra di loro sono concepiti in maniera differente, alcuni descrivono le mura, altri rappresentano solo gli spazi pubblici, altri il concetto. I modelli vengono affiancati da varie tipologie di rappresentazioni che ci mostrano le architetture da tante prospettive diverse: delle semplici fotografie del progetto realizzato e concluso nel pieno delle sue funzioni, ai disegni tecnici e realistici, alle descrizioni.
Uno dei progetti rappresentati che più mi ha colpito è certamente “Pocket of Life”. Si tratta di una ricerca portata avanti da SUN Haode con un gruppo di studenti della Scuola di Design di Shangai. I Pocket Park rappresentano le unità minime di spazio aperto per il rinnovamento urbano nelle megalopoli contemporanee. La ricerca si concentra su oltre cento parchi tascabili nell’area urbana di Shangai e conduce un’indagine basata sui dati del sistema informativo geografico per uno studio sociale tramite fotografia. In questo caso il modello che viene rappresentato in rosso è la struttura diffusa nel tessuto urbano, e viene circondato da un documento fotografico che diventa archivio per lo studio della vitalità dei pocket park.
Progetto Pocket ©Anna Di Matteo per WOO
Anche la Fabbrica di sapone a Shangai fondata nel 1923, (un tempo la più grande dell’estremo oriente) in un’ottica di rinnovamento continuo - viene ristrutturata con un intervento che viene definito “Fantasy Babble”. Attraverso illuminazioni ed installazioni trasforma lo spazio di produzione del sapone in uno spazio iconico con una serie di spazi come caffè, gallerie, ristoranti e laboratori. In questo caso il plastico viene rappresentato in negativo, andando a rappresentare la struttura preesistente trasparente, e i vari interventi interni evidenziati con il solito colore rosso.
Allestimento Padiglione Cina ©Anna Di Matteo per WOO
La Fabbrica di sapone a Shangai ©Anna Di Matteo per WOO
Del molo abbandonato nel lungo fiume a Yangpu a Shangai rimane un muro in cemento armato. Durante il processo di trasformazione del sito industriale in spazio pubblico, i componenti industriali pre-esistenti diventeranno testimoni storici. Questo progetto è rappresentato da un modello che permette di comprendere le rampe e i dislivelli, ma soprattutto vanno ad sottolineare l’estrema raffinatezza e delicatezza presenti nella copertura. In questo caso il modello non è circondato da disegni, bensì da tre immagini che descrivono in maniera chiarissima le ragioni compositive e geometriche del progetto.
Il molo nel lungo fiume a Yangpu a Shangai ©Anna Di Matteo per WOO
Tutte le opere che sono presenti all’interno del padiglione sono profondamente differenti fra di loro eppure riescono ad usare un linguaggio rappresentativo affine, con l’assenza di mezzi di accompagnamento interattivi. Si tratta di una tipologia di racconto del progetto che potrebbe essere definita “datata”, eppure con delle semplici foto e dei disegni, e dei plastici basici si riesce a cogliere l’essenza del progetto. Inoltre all’interno di questo spazio non si sente la mancanza di realtà virtuali. La rappresentazione messa in atto è inequivocabile, finalizzata a visualizzare progetti esistenti, concreti e coglierne il principio realizzativo.
Insomma davvero un racconto progettuale che si concentra sui cambiamenti e soprattutto sui miglioramenti dell’architettura e dell’habitat, ma con una speranza: veder cambiato anche il modello narrativo, che non è solo garante della simbiosi con il contesto esistente, ma che è soprattutto indipendente dalle censure.