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Trasmettere l'immagine dell'architettura

 

 

Ogni immagine è una sorta di Giano bifronte, in cui l’espressione di un aspetto del pensiero e del comportamento umano è supportata da una potenziale azione futura. Nell’ambito dell’architettura questa dualità è maggiormente apprezzabile in quanto il progetto, che scaturisce dal pensiero visivo, viene estrinsecato in primis nel gesto di un segno rapido tracciato su un supporto al fine di esercitare e sostenere un rapporto di partecipazione reciproca.

È il primo atto di condivisione, di comunicazione proiettata al cambiamento, alla modificazione di uno stato.

La comunicazione dell’architetto è dunque quel fare sotteso alla trasformazione ammantata dalla prefigurazione, a cui è affidato il compito ultimo di sedurre, o quantomeno di persuadere. Il disegno è quindi estensione dell’uomo, una sorta di protesi con la quale stimolare l’altro. Per dirla con Franco Purini: “il disegno è pensiero esso stesso, anzi è la forma-pensiero fondamentale dell’architetto, il luogo elettivo nel quale la forma appare”.

Da sempre l’immagine grafica assolve questo compito ingrato ma necessario, quello di sollecitare un moto, interiore o esteriore che sia, nell’osservatore. Perché c’è sempre qualcuno dall’altra parte del disegno. Colui che lo esegue ha di fronte un osservatore, a volte ideale, altre volte è un committente, altre ancora è un artefice. Quando c’è un committente il progettista deve soddisfare le sue richieste, anzi sono queste a guidarlo nella ricerca di proposte e soluzioni che risulteranno tanto più convincenti quanto più la trasmissione del suo intento sarà appropriata. Così si dà molta importanza alle forme e ai linguaggi di una comunicazione immediata, che possano assolvere alla accettabilità del soggetto proposto. Intorno a quest’ultimo sono in molti a muoversi per trovare i canali e le strategie più appropriate alla sensibilizzazione del pubblico. E la scienza dell’informatica offre in tal senso un contribuito potenziando la rappresentazione. Ciò significa avere dei prodotti carichi di informazioni celati dietro la pelle della visualizzazione, una visualizzazione dinamica e capace di suscitare interazione.

L’atto del raffigurare è divenuto catalizzatore per ottenere un maggiore coinvolgimento dell’osservatore, e dall’altro potenzia la sua forza strumentale nel collegare la fase di ideazione a quella di controllo del progetto tecnico.

Soltanto al progettista è consentito di prefigurare l’inesistente, di visualizzare l’invisibile, di dare spazio ad una dialettica sottesa tra realtà oggettiva e percezione soggettiva del reale. Solo il progettista può generare, dopo l’idea, la forma, e di conseguenza lo scambio e l’interazione, ossia sostenere un efficace dialogo tra umani attraverso l’immagine. 

 

Pasquale Tunzi.

 

Busto di epoca romana raffigurante la divinità Romana di Giano Bifronte, conservata anch'essa nel Museo Etrusco Guarnacci.

© Museo Etrusco Guarnacci.

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