UN TEMPO (IN)FINITO
La capacità di una costruzione di perdurare nel tempo, e fuori dal tempo, è ciò che le menti dell’architettura hanno disimparato a fare nell’ultimo secolo. A dircelo non è soltanto la smisurata imponenza di strutture anacronistiche, che ci lasciano da innumerevoli generazioni con gli occhi all’insù. Gli antichi costruttori romani e greci prescindevano da ogni tipo di vantaggio tecnologico che il tempo non ha poi assegnato al progresso. Eppure a Roma, le forme eterne come quelle del Pantheon segnarono l’alba delle tecniche costruttive ed ebbero la massima consacrazione con il Colosseo. Il panorama odierno invece, ci propone architetture che hanno un ciclo di vita che spesso non supera alcune decine di anni. Questa attuale condizione abbraccia la consapevolezza degli utenti che per ultimi abiteranno questi spazi. Si pensi infatti alle continue manutenzioni di edifici come Il bosco verticale di Stefano Boeri, alla persistente umidità che lede la quotidianità dell’utenza, o piuttosto ai sistemi d’irrigazione, ai rinforzi in acciaio e cemento necessari a reggere il peso di piante e arbusti, per non parlare dell’importante dispendio energetico delle gru che hanno dovuto trasportare gli arbusti a tutti i piani delle torri in fase di realizzazione, vanificando i risparmi ottenuti dalle scelte a basso impatto ambientale previste dal progetto. Il progresso è una lama a doppio taglio, tanto utile quando si considera il passato, quanto deleterio se manca dei principi conservativi che ci hanno condotto al modo di fare architettura corrente. È interessante pensare come l’ultima delle opere realizzate da Mies van der Rohe, la Neue Nationalgalerie, dopo 50 anni dalla sua costruzione ha ora bisogno di un importante consolidamento strutturale. Può un edificio di tale portata sopravvivere a questo tempo? Come intervenire? Il progetto di risanamento (basato sull’idea ‘Quanto più Mies possibile’) è stato affidato allo studio David Chipperfield Architects di Berlino con l’obiettivo di risolvere i problemi di termoregolazione, che generavano condensa sulle vetrate della grande sala al piano terra e, più in generale, migliorare la funzionalità dell’esistente assicurandone la massima conservazione. L’intervento non vuole essere un elogio a uno dei simboli più rappresentativi dell’architettura contemporanea, ma vuole sottolineare come il ruolo dell’architetto, oggi, è fondamentale a sistemare e restituire lo stesso edificio, con un maggior valore performante. È da qui che bisogna partire, dalle architetture della modernità e dalla possibilità di prolungarne la vita … e la storia.
Domenico Ardito
Il restauro della Neue Nationalgalerie ©David Chipperfield Architects
Il restauro della Neue Nationalgalerie © Ute Zscharnt for David Chipperfield Architects