Qual è il primo ricordo che le viene in mente legato alla Facoltà di Architettura di Pescara?
Il mare adriatico e la galleria della facoltà di architettura.
Il mare adriatico è stato il nostro contesto privilegiato, La città adriatica , infinita o generica , come più volte è stata definita, è stata al centro dei nostri studi urbani per molti anni.
Eravamo in una postazione privilegiata per comprendere i fenomeni della dispersione, per praticare sul campo quella integrazione fra architettura urbanistica e paesaggio che Pescara per prima inaugurava , negli anni novanta , con il DAU, Dipartimento di Architettura ed Urbanistica . Eravamo in una postazione privilegiata per innestarci, attraverso l’Adriatico sulla questione più ampia del Mediterraneo, che ha costituito l’altro grande ambito di ricerca, e comprenderne la condizione di conflitto. Siamo stati forse fra i primi a cambiarne la definizione, da “Mediterraneo” a “Mediterranei”, riconoscendone le diverse identità e superando definitivamente l’accezione unica legata al Mito.
La galleria della Facoltà d’Architettura, e in generale l’intera ‘promenade’ del Polo Pindaro, è stato il nostro luogo pubblico. Una strada interna a tripla altezza, scandita dal colore diverso delle scale (celeste l’architettura, come il cielo e l’acqua) , e poi rosso, giallo, verde..
Con la luce che pioveva dall’alto dai lucernai, gli stessi che mai oscurati, gettavano d’estate ai piani alti un caldo infernale ed una luminosità accecante . (ma ci eravamo affezionati anche a
quelli). Ogni evento, convegno, manifestazione, esami collettivi, festeggiamenti di tesi di laurea, anche performances teatrali, proiezioni video, e-day, e convegni internazionali (i primi tre che mi vengono in mente fra i tanti : la ‘Città Adriatica’ nel 1994, Ne.Mo.- neglected modernism nel 2000, The Mediterranean Medina nel 2006 ma anche la memorabile giornata dell’aprile del 2009 ,all’indomani del terremoto dell’Aquila, dedicata ad una promessa di impegno sul campo) , diventavano un’occasione per ‘mettere in scena’ le energie , le idee, i progetti di una intera comunità scientifica (studenti compresi) verso la città e la società.
La galleria puntualmente colpiva ogni ospite, soprattutto straniero, che avevamo occasione di invitare e contribuiva a restituire l’idea di una scuola coesa, identificata anche spazialmente, aperta alla città e al mondo.
Uno dei fenomeni che ha interessato la Facoltà di Architettura di Pescara fin dalle sue origini è stato quello della TENDENZA. Che cos’è la TENDENZA? e cosa ha rappresentato per lei?
Vorrei anzitutto separare il termine ‘Tendenza’ dai maestri che hanno generato questo termine. Penso innanzitutto ad Aldo Rossi, in seconda battuta a Giorgio Grassi. Entrambi sono passati per Pescara, Aldo Rossi intorno al 1966, Giorgi Grassi più avanti. Entrambi hanno lasciato delle testimonianze, nei loro scritti (Rossi), o in un’opera (Grassi): mi riferisco alla Casa dello Studente nel Campus di Chieti, mai finita e recentemente demolita, senza che il suo autore fosse avvertito.
Ciò che chiamiamo ‘Tendenza’ ha riguarda in molti casi gli epigoni e l’epigonismo tende ad assumere un atteggiamento dogmatico, programmaticamente acritico nei confronti di un pensiero che assume come proprio e di cui si fa promulgatore. Si sono generati molti fraintendimenti, credo, soprattutto nella costruzione del progetto e nella sua rappresentazione. La mia generazione ha conosciuto una lunga stagione di disegni e progetti alla maniera di Aldo Rossi o Giorgio Grassi in particolare. Si è trattato in molti casi di riproposizioni ‘iconiche’: vale a dire che l’insegnamento dei maestri non è stato assunto come una attitudine del pensiero disposto a generare coerentemente anche esiti formali diversi per quanto autentici, ma ha significato l’assunzione fideistica del suo stesso esito, un vero ‘falso’ fedele fin nelle tecniche di rappresentazione, compiaciuto di una appartenenza rassicurante , riconoscibile ed al tempo stesso riconosciuta.
Uno dei miei libri preferiti è l’Autobiografia Scientifica di Aldo Rossi. E’ un libro che ogni tanto rileggo in alcuni suoi passaggi memorabili. E’ un libro intimo e surreale al tempo stesso. Alcune pagine sembrano trascrivere quel flusso di coscienza che scorre sotto la cognizione razionale del mondo e che al tempo stesso se ne fa linfa vitale e necessaria.
Leggete per esempio cosa scrive Aldo Rossi di Pescara. Ve lo trascrivo tutto perché da qui sono partite molte mie riflessioni sulla città adriatica, fluttuante ed inafferrabile.
“ ….Ma risalito il percorso sono ancora semplicemente questi magnifici paesaggi mobili che si dispongono lungo l’Adriatico ad ogni stagione: così come quando li osservavo nel mio periodo di insegnamento a Pescara verso il 1966. Li vedevamo sorgere con il sorgere dell’estate e decadere con essa: un tempo più lungo della drammatica città della Feria di Siviglia , un tempo di vacanze, di incontri, di amori, forse anche di noia che si ripeteva ogni anno. E quando le grandi spiagge erano vuote l’inverno era ancora un terreno mobile di una città provvisoria che il lungomare separava dall’altra città. Ma la prima restava sempre la città degli incontri, come il molo, come tutto ciò che sta tra terra e acqua, come tra la terra e il cielo….” (A. Rossi, Autobiografia Scientifica Pratiche Editrice, 1990, pagg 50-51)
Cosa pensa di aver lasciato in questa facoltà?
Questa è una domanda che andrebbe fatta a chi è rimasto. In ogni caso il mio primo pensiero va agli studenti. In circa trenta anni (sono arrivata a Pescara nel 1985 con un contratto), ho contribuito a ‘formare’ diverse generazioni di studenti. Una responsabilità forte che spero di aver assolto al meglio. Spero di aver lasciato traccia di comportamenti corretti, di un bagaglio disciplinare mai definitivo, di un’attitudine alla sperimentazione e al rigore al tempo stesso. L’architettura non è scienza esatta; è una materia ampiamente interpretabile.
Si può trasmettere molto, dal punto di vista disciplinare, ma non tutto. I laboratori di progettazione sono stati per me ogni volta dei viaggi sorprendenti fatti con gli studenti verso il progetto. Rilevare e dare forma all’attitudine di ciascuno di essi è stato anche per me un esercizio continuo di verifica e di rimessa in discussione di alcuni presupposti. Spero di aver comunicato loro la passione per un mestiere che non finirà mai di sorprenderci. Spero di aver lasciato qualcosa di tutto questo, così come credo di aver preso ed ‘appreso’ anch’io ( passatemi il bisticcio di parole) continuamente , in tutti gli anni trascorsi in questa Facoltà.
Nella sua carriera ha affrontato realtà accademiche diverse. Esistono dei caratteri distintivi riconoscibili nei diversi atenei? Se si quali sono?
E’ vero.Ho frequentato molte realtà accademiche diverse fra loro per ragioni istituzionali, disciplinari, didattiche, di ricerca , o per workshop , summerschool, conferenze, ecc. Continuo a farlo e a promuovere una politica di scambi sul filo delle affinità di pensiero, di politica culturale, di ricerca scientifica o più banalmente dell’ amicizia, valore aggiunto molto importante per rendere ancora più fertile quello scambio. Ogni Scuola ha i suoi caratteri. In Italia sono spesso legate al contesto territoriale cui appartengono e alla rilevanza delle persone che le conducono. E’ importante che ogni Scuola lavori per la sua riconoscibilità, sulla base della sua attitudine più autentica, della sua tradizione, ma anche scommettendo sulla capacità di innovazione, sperimentazione e rigore, come si diceva prima per il progetto. Poiché di fatto anche la Scuola ha sempre bisogno di un progetto da perseguire e da aggiornare continuamente , un progetto culturale indipendente da condizionamenti, che vigili in modo critico sulle realtà che esplora, indaga o governa Questo riguarda in modo speciale le Scuole di Architettura che formano Architetti. L’aspettativa per tutte , qualunque sia il carattere identitario di ciascuna di esse, è che formi architetti competenti e consapevoli della responsabilità del loro ruolo (qualora si trovino nella felice condizione di poterlo esercitare!)
Qualora dovesse tornare ad insegnare a Pescara, quali esperienze fatte cercherebbe di introdurre nella realtà del Dipartimento di Architettura?
Questa è una domanda veramente difficile. Posso solo dire in generale che, dovunque in Italia, siamo in un momento di profonda trasformazione e di deciso ricambio generazionale. Questo si sta percependo in modo netto in numerose realtà accademiche .
E’ per tutti una grande opportunità di cambiamento. Certo le esperienze passate possono essere un patrimonio da cui trarre insegnamento e sicurezza , ma occorre guardare avanti e fare i conti con quello che si ha. Il Dipartimento di Pescara ha molte energie , soprattutto fra i più ‘giovani ‘ docenti (fissate voi la soglia di questa ‘meglio gioventù’ perché io ho perso il conto) . Occorre valorizzare, promuovere , mettere a lavoro tutte le energie che si hanno ed occorre, lo ripeto, avere un progetto condiviso. La Scuola è in fondo una comunità di persone che, nonostante le legittime differenze, guardano tutti dalla stessa parte.