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Carlo POZZI

 

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INTERVIEW

Prof. Arch.

Carlo

Pozzi

Da quando è stato nominato direttore del d'A, qual è stata la  difficoltà più grande incontrata?

 

La difficoltà più grande è la gestione dell'assemblea di dipartimento; i docenti prendono delle decisioni per poi rimetterle successivamente in discussione, se da un lato questo è un atteggiamento democratico, dall'altro diventa dolorante perchè si tende a non concretizzare, a non avere una linea di pensiero costante.  A meno di non scegliere strade che siano profondamente democratiche, infatti, una critica che ho ricevuto è quella di troppa condivisione, troppa democrazia.

 

 

Come viene valutata la sua organizzazione universitaria e di cosa ne va fiero?
 

Un atteggiamento che difendo è il rapporto che hanno i professori con la didattica e con gli studenti, a me sembra che funzioni molto. In questo senso alcuni segnali di cui vado particolarmente fiero appartengono a studenti che hanno deciso di fare tirocini in Africa, studentesse che verranno in Brasile a lavorare sulle favelas. Non dico questo perché uno studente deve sempre rischiare, ma credo che questo mestiere si giudichi soprattutto dalla passione, e in questi ragazzi la passione è molto forte.

 

 

Come s’insegna l’architettura ai giorni nostri?

 

E' giustissimo dire ‘ai giorni nostri’, nel senso che io mi sono formato in un epoca in cui l’architettura si studiava molto ‘studiando’, molti libri, molte lezioni di professori milanesi da cui uscivamo anche abbastanza sconvolti decidendo di studiare Lukács o Adorno...era un’altra epoca. Da lì triplo salto mortale. Negli ultimi anni si è arrivata ad una full immersion progettuale nei laboratori, il più delle volte senza qualunque tipo di approccio teorico. Io credo che oggi si possano utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, l’importante è costruirsi un background che permetta di fare delle scelte motivandole, senza affidarsi troppo alla fantasia. Nel frattempo mi sono anche reso conto che il dipartimento di architettura, rispetto al passato recente, deve dare dei forti contributi per svecchiare questa scuola attraverso l’arte, il cinema, fotografia, se è possibile anche il teatro. Questo è naturalmente molto complesso ma ci stiamo provando attraverso una mostra in cui design, architettura e arte si mescoleranno,  attraverso un festival del cinema, coordinato dal prof. Bucciarellli,che legherà il cinema all'architettura.
 

 

I canali di comunicazione di questi eventi, quali sono?
 

 Sono abbastanza disastrosi. Il sito del dipartimento è in perenne ristrutturazione ; abbiamo affidato la costruzione del sito ad una bravissima designer ma è ancora tutto un working in progress.
 

 

Quale ritiene essere il livello dei nostri laureati e in base a cosa lo valuta?

 

Pensando proprio ai miei laureati prima che i nostri, hanno sempre trovato uno spazio che al ora si va sempre più restringendo; in generale i nostri laureati di architettura a fatica riescono a trovare spazi nonostante ci sia una densità di lauree in architettura in una città relativamente piccola. C'è il problema di questa grande affluenza di ragazzi pugliesi che decidono di rimanere qui come se Pescara fosse una piccola New Work, questo rispetto all’occupazione in architettura crea uno squilibrio.

 

 

In che modo, in qualità di direttore, pensa di poter sopperire alla carenza di strutture del dipartimento?

 

Il grosso problema è il rapporto che ha il dipartimento con l’ateneo. L'utilizzo delle nostre strutture è condizionato da scelte che provengono da Chieti e in questo senso stiamo puntando a costruire una linea che dia più importanza al polo di Pescara. Se architettura riesce ad avere un rapporto importante con Ingeo diventa una forza a cui non si può più dire di no.  Ho provato ad aprire degli spazi di dibattito ma questo non basta, ci vogliono soldi, ci vogliono strutture adeguate, uno degli elementi su cui stiamo puntando molto fortemente è la realizzazione di una biblioteca.  
Dal progetto di qualche anno fa, fatto dal gruppo ABDR, di una nuova ala dell’università parallela al tribunale, si sta provando a concretizzare qualcosa di significativo. Rispetto alla biblioteca è fondamentale pensare intanto ad una mediateca, ad uno spazio che non stia sottoterra, ma che abbia una rilevanza architettonica; i soldi ci sono, dobbiamo evitare che vengono investiti altrove. Questa dialettica tra Pescara e Chieti, che è anche un po’ provinciale, va combattuta.
 

 

Visti i nomi importanti che hanno contribuito alla crescita di questa facoltà fin dalle origini, oggi, quali architetti vorrebbe invitare nella sua scuola? 

 

A me piacerebbe definire un calendario d’incontri con i professori che hanno insegnato qui, la vostra rivista ci può aiutare per dare uno spazio progressivo. Abbiamo provato a mettere in piedi un evento che voleva ripercorrere la storia della facoltà a cominciare dagli anni della tendenza che sono stati abbastanza rimossi qui a Pescara. A me piacerebbe invitare tutti i professori che hanno insegnato qui da Aldo Monino, Cristina Bianchetti, Arturo Lansani, Paolo Desideri. E' importante riuscire a dialogare con il passato in modo non nostalgico.. prima era meglio ora no.. non è così. 

 

 

Quali relazioni intercorrono attualmente tra Dipartimento di Architettura e le Università straniere?

 

Io credo che la chance che ha Pescara consiste proprio in queste relazioni  internazionali, in particolare con gli Stati Uniti, Sud America qualcosa anche verso l’Oriente. D’altro canto abbiamo un importante numero di Erasmus in Europa però recepiamo poco perché qui non abbiamo una segreteria, non abbiamo un posto per alloggiarli,  cosa su cui stiamo cercando di ragionare. I rapporti internazionali che abbiamo attualmente sono soprattutto rapporti tra docenti e università estere. La sfida sta nel provare a mettere in piedi ricerche importanti in cui studenti e dottorandi siano poi coinvolti. Uno scambio non si risolve in un bel viaggio all’estero,che va comunque bene, ma è molto limitativo per l’università nel senso che poco torna indietro.

 

 

Negli ultimi dieci anni sono andati via dall’Italia 380.000 laureati e ne sono arrivati 55.000. Lei pensa sia possibile invertire questa tendenza? Se è si in che modo?

 

Vorrei segnalare che noi abbiamo pochissimi posti per stranieri nei test d'ingresso e spesso questi posti vanno deserti, perché non si fa nulla per alimentare l’arrivo. Gli studenti erasmus sono una forma di arricchimento, sono un modo per uscire da questa piattezza provinciale. E' importante costruire uno scambio, sentire altri punti di vista e questo non vale per l’Architettura, non vale per l’Università vale per l’Italia.
 

 

In conclusione ha la possibilità di lasciare un messaggio per i suoi studenti.

 

Ma un messaggio che spero non appaia demagogico è che bisogna realmente lavorare insieme, deve  crescere sempre più il rapporto docenti-studenti senza contrapposizioni che a volte sono logoranti. Una delle poche invenzioni intelligenti della Legge Gelmini è la commissione parentetica tra docenti studenti.  Adesso dirò una cosa demagogica : l’università è vostra,è degli studenti. Abbiamo il problema dei professori pendolari, viene concentrato tutto il mercoledì, gli studenti potrebbero anche pretendere di più, far capire realmente che pagate le tasse e volete un servizio. Io penso che frequentare architettura,e questo lo dico a tutti, è una cosa bellissima ,non c’è paragone con le altre facoltà. Il lavoro di gruppo sicuramente ha delle derive negative però è molto formativo, dove si fa un lavoro di gruppo? Gli architetti oggi non possono non lavorare in team, bisogna abituarsi a lavorare in gruppo e ognuno deve prendersi la sua parte… l’uomo cresce con gli altri.

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