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Abbiamo adesso un gran materiale svolto: qualche centinaio di progetti senza che siano stato calcolati i fatti, le tensioni, le risorse che impegnano gli uni contro gli altri. Il Comune lo aveva detto: sfruttate e dominate il pensiero indipendente per ciascun laboratorio. In primis, senza ordine, perché ciascun laboratorio sembra ordinato in una soluzione in se stessa.

Ma poi se si guarda bene, ogni laboratorio è una astrazione, una verticistica fortemente dei luoghi (percorsi, misure, ecc.). Infine, dunque, guardando questo piano viene quasi naturale riordinare le funzioni centrali, e metterle in scala (un piano regionale, un bando comunale, uno sforzo ottimistico, e una ricapitolazione).

E ancora non siano su un’area truffa, diversa da quella degli urbanistici.  

Dunque, per ora proviamo a tracciare una variante tra le aree connesse nel centro storico, e quelle connesse nella periferia. Il discorso è semplice: a ciascuna area conviene investire un’altra area, anche se la sua destinazione è la stessa.

Partiamo dall’area da cui abbiamo proceduto noi: la piazza e il pontile. In effetti, tra Museo del Mare, con contenuti sempre chiusi o comunque variabili, Museo del Mare abbandonato pochi metri più oltre, e poi l’edificio sito in piazza Primo Maggio, occorrerebbe un “legacy plan” che mostrasse quali sono i vantaggi del creare una nuova istituzione. Al limite, l’edificio che viene fatto risalire a Montuori, potrebbe creare una forma di presentazione ufficiale. Oppure ritornare a svolgere la funzione di baracchino turistico per i grandi flussi estivi, o ancora il punto di partenza per i mezzi pubblici.

Secondo me non ci sono grandi competenze da spartire dentro la Pescara uscente, ma certo il laboratorio 1 (ex_Fea) e 2 (ex_Primo Maggio), devono unirsi in questo senso. Certo ognuno di loro deve anche concentrarsi sulle risorse. Per Pescara un livello di parching sotto la strada è poco, ma darebbe al sito un carattere di rito.

Sul sito internet, per ora preferisco tacere: da una parte le lingue politiche parlano senza sapere, per altro si crea una contesa in cui nemmeno l’Ordine degli Architetti riesce a fare fuoco: amen.

Poi conviene districarsi sulla stazione. A me sembra che totalizzando la metà degli alberi e la metà delle macchine, le dimensioni vadano già bene. A ciò si aggiunga una disposizione di un sistema bibliotecario, e di un sistema acustico che possano essere raggiunti da la parte stradale (già, ma quello finito a no-games, come si fa a sopportarlo?).

A me sembra anche che una parte, più vicina alla stazione, con forme urbane e che non possa essere di compromesso con la città. Anche qui, divisione degli aiuti un po’ per tutti. La cosa che non succede ovviamente dentro il plateau della Stazione è che tutti si vedano rincorrere il proprio obiettivo. Dentro questo mix occorre che la costruzione, basata su una severa campionatura ideologica possa condurre alla costruzione (una dimensione in cui il 10% vada a carico di tutti gli abruzzesi). E poi il cash flow, di provenienza locale, vada iscritto alla rete dei principi di solidarietà.

Dentro questo schema, nessun risveglio di quelle pastoie romane che hanno tenuto la stazione ferma per quasi un decennio.

Rimangono i poli n.4 della “area scalo”. Qui i disastri sono già stato ottenuti: come tante altre aree di Pescara, perché non dovrebbero essere seduti intorno ad un tavola comune i proprietari dell’area nord? E quelli dell’area sud?

Lo stesso avviene nell’area 9, dove le funzioni si stanno integrando e sono i diagrammi degli urbanisti a segnare una traccia. Ma come vedete dalla pianta, i chilometri sono buoni, e per spingerci da li a le aree industriali, dove ancora permangono le caratteristiche delle aree indicate, ce ne vuole, né bastano le economie delle disco anche  blu.

 

Francesco Garofalo.

 

 

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